Prof. Alberto Roggia

Le mani e le dita del Chirurgo.

E' importante la bellezza ed il  fascino delle mani ?  Dall'immaginario collettivo alla realtà.

 Le mani del chirurgo devono avere abilità ed esperienza, muoversi con ineffabile leggerezza ed essere efficaci , incisive ed essenziali , agendo sempre con delicatezza, nel rispetto massimo dei tessuti e con  la raffinatezza di un cesello o di un ricamo .

 Mani lunghe e affusolate , oppure piccole e corte,  o invece  grandi e panciute, o tozze e larghe , alcune con  ineffabile fascino, altre senza,   ma sempre mani  positive,  fattive,  mani  leggere , delicate,  pensose , interpreti di una vera e propria Arte.

Mani , ma non basta !!!    Perchè non deve mancare  anche “  Mente  e  Cuore “ :  nelle tre H  ( Head, Heart, Hand) sono sintetizzate  le doti  indispensabili del Chirurgo.

Le mani e dita del Pianista :  danzano sulla tastiera e trasmettono emozioni .

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MANI e DITA DEL CHIRURGO .

E' pleonastico segnalare  come la mano sia  organo umano di ineffabile importanza nelle sue molteplici funzioni  dalla nascita alla  terza età.   Nell'immaginario collettivo , in anni precedenti soprattutto, si è  spesse volte  considerato come la morfologia , la bellezza , il fascino delle mani e soprattutto delle loro dita fossero doti di indiscutibile rilevanza, anzi un valore aggiunto alla funzionalità stessa,  in alcune specifiche professioni , come  quella del  pianista o del chirurgo.

La storia della Chirurgia  ci segnala  infatti la grandissima rilevanza  riservata alla  fisicità   delle mani del chirurgo : così  Giorgio Cosmacini  scrive come Aulo Cornelio Celso nella  opera  De Re Medica (25-35 d.C)  , specificava i requisiti che il chirurgo devesse possedere affinchè il suo livello professionale fosse ottimo e paragonabile a quello di Trifone , Evelpisto e  Megete   e così si esprimeva :  ”..il chirurgo bisogna sia giovine, o almeno non tanto in là con gli anni , di mano forte , ferma, che non tremi mai, e che si serva bene non men della sinistra che della destra, di vista acuta e netta, coraggioso, pietoso sì,  ma in modo di non pensare ad altro che a guarire il suo malato ...”.   E sempre  Cosmacini  ricorda come  Jehan Ypermann (1260-1332) padre della chirurgia fiamminga,  modellando su se stesso la figura  del chirurgo ideale affermava nel suo trattato di chirurgia  ”...il chirurgo deve avere delle belle mani e della dita affilate ... egli sarà di costituzione robusta ...egli non adulerà se stesso...” 
Già  Ippocrate ( 480- 390 a C) padre della Medicina  ha etichettato la chirurgia come  “lavoro manuale” (da cheir, mano ed  ergon, lavoro) ,  termine che ha ancora  la massima  validità anche se l'arte empirica e pratica nata solo per imitazione e ripetizione di gesti  ha oggidì lasciato il posto ad una moderna chirurgia ad altissimo  contenuto tecnologico,  mini-invasiva, laparoscopica , robotica , chirurgia dei trapianti , chirurgia oncologica , chirurgia neonatale, microchirurgica  ecc...in cui le mani hanno valore nella  grande abilità che scaturisce da  solida esperienza,  costante ,  quotidiana,  direi sul campo in prima linea,  nei confronti di  quella specifica procedura e tecnica chirurgica.

La “mano chirurgica” non è certamente congenita !    Pertanto il giovane chirurgo deve necessariamente  raggiungere una corretta e valida  manualità operativa  prima di poterla applicare in prima persona al paziente , e ciò implica che deve rispettare un lungo e rigoroso corso di formazione  sotto la guida di un  Docente ,  un chirurgo esperto, un tutor : in dettaglio, il Prof Luigi Boni  pioniere ed esperto nella chirurgia laparoscopica  e robotica, Direttore della  prestigiosa Chirurgia  Generale e della Scuola di Specializzazione in Chirurgia della Università degli Studi di Milano, ha più volte segnalato la necessità per lo specializzando di acquisire  una solida preparazione , anzitutto teorica , ed a cui deve far seguito la rigorosa formazione pratica  secondo la  metodica di insegnamento  in tre fasi nota come SODOTO , acronimo che sta per “ See one,  Do one, Theach one “  nel senso che il giovane chirurgo dalla osservazione , per cui ecco la definizione “vedi ”,    passa in seconda fase ad eseguire quanto il  Maestro-tutor  gli ha insegnato, per cui “ fai ”,   e poi in terza fase può  trasferire quanto ha appreso ad un giovane collega  , per cui  insegna lui stesso .   Ma, da parte sua,  lo stesso Maestro-Chirurgo-Docente  non è mai un “arrivato” e non deve mai considerarsi tale, cioè non ha raggiunto mai il  TOP o lo ZENIT  anche dopo anni di professione,  ma deve, in un certo senso, continuare sempre ad imparare lui stesso e perfezionarsi in quanto ogni intervento ha caratteristiche a se stanti richiedente le stesse attenzioni come se fosse il primo intervento,   per  poi  trasmettere tutta la  propria scienza agli allievi-discepoli.

“ Docendo discimus” , afferma il filosofo L.A.Seneca ( 4 a.C. - 65 d.C  quando in Lettera a Lucilio scrive che c'è un vantaggio reciproco perchè mentre si insegna si impara,  concetto ripreso in altro contesto da A.Schopenhauer , e riaffermato da Prof. D.  D'Amico, già Direttore della Chirurgia Generale e Centro Trapianti di fegato al Policlinico di Padova sempre  molto attento alla formazione universitaria dei giovani chirurghi.

Prof.Paolo De Paolis , Direttore della Chirurgia  Generale di Urgenza alle  Molinette di Torino e Presidente della Società Italiana di Chirurgia  segnala come le nuove tecnologie laparoscopiche e robotiche non sono andate a scapito delle capacità manuali ma hanno portato invece ad una evoluzione dell'attività stessa  portando alla acquisizione di una  “Skill” addirittura superiore,  in quanto oggidì il chirurgo deve poter acquisire  abilità manuale in modo equipollente sia in chirurgia classica-tradizionale “aperta”, sia in chirurgia laparo-robotica.
E' ampiamente oggi riconosciuto come  il fascino delle mani , riferito a bellezza delle stesse e delle dita in particolare,  non abbia comunque  alcuna importanza per la attività del chirurgo : ecco che dalla leggenda si passa alla realtà.

Christian Barnard ,  chirurgo che effettuò la notte del 03 dic.1967 il primo trapianto di cuore  possedeva prestanza fisica con corpo asciutto giovanile e mani ben curate dalle dita lunghe ed affusolate che sprigionavano ineffabile fascino, ed anche  tutto ciò , associato ad un sorriso accattivante,  contribuì ad assere osannato dai mass media ed acquisire il ruolo di carisma :  mani purtroppo precocemente  invalidate  nella loro funzione  per artrite reumatoide che hanno bloccato la attività di Barnard.   E' doveroso segnalare  come negli USA la attività di trapianto di cuore  iniziò per opera di Norman Shumway,  mentre  il Prof. Vincenzo Gallucci nella notte del 13 novembre 1985 effettuò a Padova il primo trapianto di cuore in Italia : le mani di entrambi i cardiochirurghi citati non destavano particolare attenzione , ma in Gallucci , determinato e tenace,  schivo e taciturno , gentile e pieno di umanità , le mani agivano con la   raffinatezza di un ricamo o di un cesello.   Così pure le mani benchè piccole, grassocce e con  dita discretamente corte di Alfiero Costantini,  Professore Emerito alla Università di Firenze,  si muovevano con straordinaria ed ineffabile leggerezza negli interventi urologici più complessi.

Prof.D'Amico , sopra citato,  scrive nel suo libro,  Le mani del chirurgo - lo specchio di un'arte , come le mani possano essere quanto mai diverse , ora  lunghe e affusolate  , ora  piccole e corte, oppure  grandi e panciute, “ ma sempre mani pensose , mani fattive, mani leggere , interpreti di un'arte che è figlia dell'estro e del sapere “ ,  ed il chirurgo  recita con le sue mani, trovando armonie interpretative non disgiunte da un'armonia umana e religiosa per cui le  delle  mani del chirurgo diventano  lo strumento di una vera e propria arte.

La mia vita nelle sue mani, così si esprime spesse volte il paziente , soprattutto quando  quasi rassegnato e privo di  speranza di fronte ad un destino inaccettabile , ha  la consapevolezza  che  “un abbandono nelle mani del chirurgo” sia la possibilità di  una speranza oramai quasi persa , per ritornare ad una vita dignitosa,  e  D'Amico ricorda come  il chirurgo da parte sua non deve mai tirarsi indietro , consapevole che  “ anche asciugare una lacrima vale una vita intera”.

Ovviamente  le mani devono essere sempre accompagnate e sostenute da  “ Testa   e  Cuore ” , in un trittico inscindibile  rappresentato dalle  tre H  ( Head, Heart, Hand) come dicono gli Autori Americani, un trittico  che rappresenta  il solido basamento di ogni chirurgo, e  Prof.D'Amico  in modo quanto mai incisivo e stringato afferma come  “manualità,  audacia e dottrina  fanno la grandezza del chirurgo “.

Il chirurgo non si limita ad esercitare una semplice professione , ma decide per  una scelta che riempie la vita , che è poi l'impegno di tutta una vita , anzi la vita stessa,  che impone massimo sacrificio ed impegno ,  di  raggiunge l'apogeo  o zenit della sublime Arte,  cioè :  “ VIVERE  IN PIENEZZA  L'ARTE CHIRURGICA “ .
Pertanto non esercitare la chirurgia ma “viverla  in pienezza”, che è poi  “il  lavoro più bello del mondo “ come afferma  efficacemente  il Prof. Luigi Boni , Direttore della Chirurgia Generale  al Policlinico di Milano e Ordinario di Chirurgia all' Università degli Studi di Milano ,  mirando sempre alla perfezione operatoria , peraltro irraggiungibile , e per la perfezione , come afferma lo scrittore Sandor Marai, bisogna sempre sapere dare tutto ,  affinchè la chirurgia sia sempre esercitata nobilmente dall'uomo a vantaggio dell'uomo,  in un vivo rapporto empatico verso il fratello sofferente che chiede ascolto, condivisione , alleanza terapeutica , affidandosi con fiducia alle mani abili ed esperte del chirurgo. 

“ Se allevierò il dolore di una vita ...non avrò vissuto invano “Emily Dickinson.

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… E LE MANI DEL PIANISTA?

Ricordo il pianista cinese Lang Lang , con incomparabile velocità delle mani molto grandi , la cui apertura è capace di coprire ben dodici tasti,  mentre  mani normali ma  definite “incredibili  dal tocco unico”,  erano quelle di Arturo Benedetti Michelangeli e di Maurizio Pollini, entrambi perfezionisti estremamente raffinati.


Lo scrittore  Eugenio Fuentes , nella sua opera “Le mani del pianista” indica come le mani , per essere “magiche” non devono necessariamente rispettare criteri di dimensioni e forma , citando  come Daniel Barenboim,  Claudio Arrau,  Josef  Hofman , benchè con  mani minute , sapevano con massima efficacia  riversare le proprie emozioni sulla dita,  ed altri ottimi pianisti come Murray Perahia, Glenn Gould , Esteban Sanchez , possedevano invece mani larghe e dita forti capaci però di incendiare l'aria con la bellezza di un accordo.    Indefettibile il ricordo  del pianista   , compositore e direttore d'orchestra, di raro talento e grande umanità , prematuramente deceduto , Ezio Bosso,  definito Maestro del Sorriso e delle Emozioni, dalle mani magre ,dita affusolate e vivacissime che danzavano sulla tastiera del pianoforte sapendo trasmettere  la gioia di vivere, pur durante il calvario della lunga malattia.