Prof. Alberto Roggia

Chirurgo , l'uomo delle tre H

Per gli Autori americani sono richieste  al chirurgo tre doti  “ head,  heart,  hand “  in quanto è necessaria la partecipazione della mente,  cuore e mani  affinchè la persona ammalata  si senta presa in carico in un programma di cura condivisa.
Chirurgia per vocazione,  e non per semplice scelta professionale .

                        VIVERE  IN  PIENEZZA  LA  CHIRURGIA

“Affido la mia vita nelle sue mani “,  espressione che spesse volte è rivolta, ora velatamente ora in modo molto esplicito, al chirurgo che alle abili mani associa sempre il cuore e il cervello, doti che peraltro non sono peculiari e specifiche dei chirurghi ma sono proprie e comuni a tutti i professionisti che esercitano l'arte medica.
Un trittico inscindibile (mente-cuore -mani) , rappresentato dalle tre H ,  che identifica la solida piattaforma di  ogni chirurgo, segnalando come Prof. D'Amico affermi che  “manualità,  audacia e dottrina  fanno la grandezza del chirurgo “,  e come  Prof L.Boni  giudichi la  chirurgia , se così esercitata,  il “ lavoro più bello lavoro del mondo”.

MENTE :
l'impegno nella  formazione in ambito del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, la specializzazione nella disciplina specifica, la esperienza maturata in reparti universitari ed ospedalieri , la guida di un Maestro sono le basi per poter esercitare la professione chirurgica con determinazione e massimo impegno e pure entusiasmo al fine di poter offrire ai pazienti la massima qualità nelle strategie terapeutiche da adottare specificatamente per il singolo  caso clinico. La chirurgia è stata sempre ed è per definizione interventista,  finalizzata , come dice il padre della medicina  Ippocrate ( 480-390 a.C) a “rimuovere il male”. Il  chirurgo è molto pratico ed essenziale , ed appunto per tale requisito necessita , come sostiene il Prof Luigi Boni  pioniere ed esperto nella chirurgia laparoscopica  e robotica, Direttore della  prestigiosa Chirurgia  Generale e della Scuola di Specializzazione in Chirurgia della Università degli Studi di Milano,  di una solida preparazione , anzitutto teorica a cui deve far seguito la rigorosa formazione pratica  secondo la  metodica di insegnamento  in tre fasi nota come SODOTO , acronimo che sta per “ See one,  Do one, Theach one “  nel senso che il giovane chirurgo dalla osservazione , per cui ecco la definizione “vedi ”,    passa in seconda fase ad eseguire quanto il  Maestro-tutor  gli ha insegnato, per cui “ fai ”,   e poi in terza fase può  trasferire quanto ha appreso ad un giovane collega  , per cui  insegna lui stesso . 
“ Docendo discimus” , afferma il filosofo L.A.Seneca ( 4 a.C. - 65 d.C  quando in Lettera a Lucilio scrive che c'è un vantaggio reciproco perchè mentre si insegna si impara,  concetto ripreso da A.Schopenhauer , e riaffermato da Prof. D.  D'Amico, già Direttore della Chirurgia Generale e Centro Trapianti di fegato al policlinico di Padova sempre  molto attento alla formazione universitaria dei giovani chirurghi , sostenendo comunque il chirurgo non può e non deve mai considerarsi arrivato anche dopo una pur lunga esperienza , e non finisce mai di imparare lui stesso perchè ogni caso è diverso da un altro .

 

CUORE
Nella quotidiana attività professionale il Medico, indipendentemente se esercita la chirurgia o meno, deve saper creare un rapporto empatico con tutti i pazienti , rapportandosi non solo con la malattia ma pure con la persona  che è portatore della malattia stessa :   in sintesi occorre che il chirurgo vada oltre allo specifico atto terapeutico  “col bisturi” , aggiungendo sempre il personale “calore umano “ , cioè in ultima analisi il “proprio cuore” ,   della vicinanza al malato  :   ciò conferma come la chirurgia non sia solo una attività di tecnica operatoria  di altissimo valore , ma nel suo indubbio rigore scientifico possieda  pure i connotati di scienza umanistica . Il chirurgo ha il dovere di proporre  al paziente scelte appropriate   in una  “alleanza terapeutica”( il Prof R.Ghiringhelli  sottolinea come la parola alleanza derivi dal francese “allier = unire” che rimanda al verbo latino “alligare = legare assieme”),  non dimenticando  mai il   primato della dignità della persona umana .  E ciò  indipendentemente dal proprio credo , tanto che nella parabola a tutti nota  del “Buon Samaritano”  è stato addirittura  un “ non credente “  che  si commosse ed ebbe compassione e pietà  , mentre i due religiosi che avrebbero dovuto aver misericordia hanno tirato dritto per la loro strada.
Il chirurgo deve saper trasmettere  il calore umano della  propria e personale “partecipazione attiva”  in quanto la persona ammalata  da parte sua cerca sempre  ascolto,  condivisione , comprensione  ed affetto in cui la “alleanza” tra chirurgo e paziente è fondamentale, ed  il paziente ha bisogno di  percepire che   il chirurgo ha  “ il cuore in mano  “ per cui può sentirsi  preso in carico .
La cura  è imparentata con la compassione ( dal latino cum /patior/passio = patire insieme)  cioè partecipazione alla sofferenza dell'altro con solidarietà e condivisione , sentimento grandioso ed universale che secondo Dostoevskij è la più importante e forse l'unica legge di vita dell'umanità intera, e  Einstein afferma che “solo una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena di vivere “
 Prof.M.Tavani,  Professore Ordinario Universitario di Medicina Legale alla Università degli Studi dell'Insubria  non manca di ribadire  a medici e specializzandi il dovere del rispetto degli  irrinunciabili principi morali di umanità e solidarietà espressi nel vigente Codice Deontologico del Medico :  in tale ottica mi fa piacere ricordare  Albert Schweitzer , filosofo, medico, teologo , magistrale organista,  e premio Nobel nel 1952 per la Pace quando  riferisce come  in una sera di tramonto in Africa nello sforzo di arrivare al concetto elementare  ed universale dell'etica balenò nella sua mente la frase ” rispetto per la vita e per tutti gli essere viventi “, che divenne subito  il motto del proprio impegno fondando a  Lambaréné (Gabon) un Ospedale e villaggio per lebbrosi.
Non possiamo certo dimenticare l'immenso sacrificio negli anni 2020 e 2021  da parte della Classe Medica,  Anestesisti-rianimatori, Infettivologi-virologi, Medici di Famiglia, Medici di pronto soccorso, Medici addetti ad Emergenza-Urgenza, rispettando i principi etici di umanità e solidarietà espressi nel vigente Codice Deontologico del Medico,  ma pure l'impegno massimo di Infermieri, Protezione Civile , Volontari, addetti alle Ambulanze ,  Farmacisti,  ecc... per salvare più vite umani possibili  nella recente gravissima pandemia da coronavirus diffusasi in Italia  :   un enorme carico di lavoro  esercitato con  abnegazione, altruismo , com-passione  , determinazione, eroico impegno, sacrificio e tanto cuore  indistintamente verso tutti gli ammalati, uno slancio di commuovente generosità , sintetizzando il tutto in  una parola, “agape”(che rimanda a  caritas e philos)  come amore disinteressato ed incondizionato,  e donazione verso l'altro, che ha visto il suo drammatico estuario nel sacrificio della propria vita da parte di molti medici oltre che  farmacisti,  infermieri,  Forze dell' Ordine ,volontari  e religiosi.  
“La vita non è degna di esser vissuta se non è vissuta per qualcun altro” così scriveva Albert Einstein, mentre la poetessa Emily Dickinson  “...se allieverò il dolore di una vita o guarirò una pena...non avrò vissuto invano”.

MANI :  La storia della Medicina ci dice come nel passato  si sia  sempre data grandissima rilevanza alla ”  fisicità e  bellezza “  delle mani del chirurgo .   Giorgio Cosmacini  segnala come Aulo Cornelio Celso nella  opera  De Re Medica (25-35 d.C)  , specificava i requisiti che il chirurgo deve possedere affinchè il suo livello professionale fosse ottimo e paragonabile a quello di Trifone , Evelpisto e  Megete   e così scriveva:  ”..il chirurgo bisogna sia giovine, o almeno non tanto in là con gli anni , di mano forte , ferma, che non tremi mai, e che si serva bene non men della sinistra che della destra, di vista acuta e netta, coraggioso, pietoso sì,  ma in modo di non pensare ad altro che a guarire il suo malato ...”.   E sempre  Cosmacini  ricorda come  Jehan Ypermann (1260-1332) padre della chirurgia fiamminga,  modellando su se stesso la figura  del chirurgo ideale affermava nel suo trattato di chirurgia  ”...il chirurgo deve avere delle belle mani e della dita affilate ... egli sarà di costituzione robusta ...egli non adulerà se stesso...” 
Già  Ippocrate ( 480- 390 a C) padre della Medicina  ha etichettato la chirurgia come  “lavoro manuale” (da cheir = mano, ed  ergon = lavoro) , ma il chirurgo Giorgio Regnoli nel proemio al suo trattato di medicina operatoria del 1846 segnala come alcuni storici risalgono addirittura agli eroi del poeta greco Omero ( forse  XI-VIII secolo a.C)  ed hanno voluto che la “parola chirurgia “ derivasse da Chirone,  eroe della mitologia greca  celebrato dal divino Poeta per l'arte di medicare le ferite.
Termine “chirurgia” che mantiene sempre   la massima  validità,  anche se l'arte empirica e pratica nata solo per imitazione e ripetizione di gesti  ha oggidì lasciato il posto ad una moderna chirurgia ad altissimo  contenuto tecnologico,  mini-invasiva, laparoscopica , robotica ,chirurgia dei trapianti , chirurgia oncologica , chirurgia neonatale, microchirurgica  ecc...in cui il chirurgo recita sempre con le sue mani, come segnala D'Amico,  ma le mani vanno intese come grande abilità che scaturisce da  solida esperienza,  costante ,  quotidiana,  direi sul campo in prima linea,  nei confronti di  quella specifica procedura e tecnica chirurgica, mani sempre enfatizzate anche oggi dal paziente che vuole sentirsi appunto “in buone mani”.  Ovviamente il giovane chirurgo deve  poter raggiungere una buona manualità operativa  prima di poterla applicare in prima persona al paziente , e ciò richiede una lunga pratica sotto la supervisione di un Maestro,  un tutor,  un chirurgo esperto,  un docente , per acquisire la  buona “mano chirurgica” a cui il paziente vuole affidarsi in massima fiducia.
Non posso dimenticare  quanto efficacemente scrive Prof D''Amico  “ la chirurgia, pur essendo un lavoro artigianale, di artigianale ha  poco, essendo guidato dalla mente e, ove questa non bastasse, anche dal cuore e dalla fede.

 

                                   Posso così sintetizzare e concludere :

 VIVERE    IN   PIENEZZA  LA    CHIRURGIA  è il  credo professionale del  chirurgo.
Chirurgia abbracciata per vocazione e non semplice  scelta di professione,
professione artigianale in cui il chirurgo recita con le sue mani,
manualità e dottrina  in simbiosi,
attività  guidata dalla mente, ma pure dal cuore . E' certamente una scelta che riempie la vita,
 una avventura esistenziale intensa e gratificante ,
che richiede  impegno massimo e costante,  l'impegno di tutta un vita,
sacrificandosi , anche soffrendo  e sapendo soffrire,
 mirando sempre alla perfezione nella clinica e tecnica operatoria,
perfezione peraltro irraggiungibile, come afferma Sandor Marai  in altro contesto,   e  per la perfezione bisogna saper dare tutto,
l' esercizio di tutta una vita, e la vita stessa,
 Chirurgia sempre  di massima precisione,
 chirurgia   del particolare  , “ di ricamo,  di cesello,   in filigrana “,
  non  sterile virtuosismo,
affinchè  la chirurgia sia sempre esercitata,   nobilmente,
 in un vivo rapporto empatico verso il fratello sofferente 
che chiede  ascolto attivo ,   condivisione   e compartecipazione mentre si
 affida con fiducia , in una  stretta  alleanza terapeutica   ,
 alle mani  abili ed esperte del  suo chirurgo .